1. Ritratto
a olio su carta di Luigi Gonzaga adolescente, già nel Castello di Ambras,
presso Innsbruck, ora al Kunsthistorisches Museum di Vienna. Cartolina 1968.
Archivio Mattioli-Mutti.
Giancarlo
Mattioli
Luigi Gonzaga
genesi di un’iconografia
2. Anonimo
(XVII).
Olio su tela, cm 130 x 97.
Castiglione
delle Stiviere, Collegio delle Vergini di Gesù, cappella.
Cartolina 1968.
Archivio
Mattioli-Mutti.
L’iconografia
è molto importante e significativa per ogni santo o santa, perché li rende
accessibili al devoto senza altra mediazione, bastando un semplice sguardo
d’affetto. Come un figlio si sente guardato dalla madre o dal padre, e pertanto
sotto la loro protezione, così il devoto, alla vista dell’immagine dei suoi
santi patroni, si sente soccorso dal loro favore. L’immediatezza dello sguardo
implica che da alcune essenziali, ma esplicite, caratteristiche possa essere
riconoscibile l’immagine cui ci si rivolge. I santi e le sante sono innumerevoli,
per questo nel corso del tempo si è reso opportuno attribuire loro determinate
peculiarità o associarli a specifici contesti o strumenti, oggetti, animali,
piante, fiori, frutti al fine facilitarne il riconoscimento. Più antico e
conosciuto è il santo e più radicati sono gli attributi iconografici a lui
associati. Il culto di un nuovo santo deve perciò confrontarsi con la devozione
consolidata di chi l’ha preceduto ed al contempo saper rinnovare ed
attualizzare gli antichi simboli, per renderli efficaci veicoli di nuova
venerazione. Osservare l’iconografia di santi e sante, così diversi fra loro
per epoche, caratteri, contesti, fa comprendere come il popolo cristiano sia
riuscito a sentire e a rendere palesi i segreti contatti tra spiritualità
diverse, e quanto forti siano le analogie tra loro, pur nelle evidenti
differenze.
Il
presente lavoro si propone di comprendere come è nata, in epoca moderna, una
delle più diffuse iconografie di un santo giovane, Luigi Gonzaga, gesuita,
morto a Roma il 21 giugno 1591, all’età di 23 anni. Il culto della sua santità
fu spontaneo ed immediato tra coloro che l’avevano conosciuto nella vita ed in
particolare nei suoi sei anni di noviziato. Per Luigi nacque un moto di “santo
subito” che lo coinvolse sin dalle esequie. Si trattò di un inizio non
ufficiale di culto, tollerato con simpatia, ed anzi discretamente proposto, con
la sicura convinzione di non errare. In molti si mossero subito per un
riconoscimento ufficiale da parte della chiesa delle sue virtù eroiche. Il
fratello Francesco, primo principe di Castiglione, ambasciatore cesareo presso
il papa, fu tra i più insistenti sostenitori della causa di beatificazione
presso la Curia romana, in questo aiutato da tutta la famiglia Gonzaga, con il
suo portato di potenza. I gesuiti, che già prima della morte di Luigi avevano
intuito la valenza simbolica che il giovane novizio poteva rappresentare nei
confronti delle nuove generazioni di studenti nei loro collegi, si attivarono
con una serie di iniziative, come il vaglio dei ricordi e delle testimonianze
di coloro che avevano conosciuto Luigi, nelle diverse età e nei vari luoghi in
cui era vissuto e la raccolta di reliquie. Così venne compilata, su commissione
dei superiori, la prima stesura di memorie da Antonio Valtrino e la successiva
da Virgilio Cepari, ambedue gesuiti. Un fervore di diffusione del culto che
dall’Urbe e dai luoghi d’origine del principato di Castiglione e del ducato
mantovano, attraverso i collegi dei gesuiti, raggiunse in un breve lasso
temporale la più vasta platea europea, destinata poi all’intero orbe cristiano,
fino ai nostri giorni.
3. Anonimo
(XVII).
Olio su tela, cm 94,5 x 76,5.
Medole,
Chiesa dell’Assunzione della Beata Vergine Maria, sagrestia.
Gianluigi Arcari e
Umberto Padovani - L’immagine a stampa di San Luigi Gonzaga Vol. I, p. 56.
Archivio Mattioli-Mutti
La
beatificazione di Luigi Gonzaga avvenne nel 1605 a soli quindi anni dalla morte,
ma già il vescovo di Brescia (Castiglione delle Stiviere, luogo di nascita, in
quel tempo era in diocesi di Brescia e San Luigi è tuttora considerato in
quella città santo più Bresciano che Mantovano, pur essendo i Gonzaga
mantovani) aveva ammesso il culto l’anno precedente, dopo una serie di
insistenze che implicavano un devozione già da tempo di fatto esercitata in
privato.
4. Anonimo
(XVII).
Olio su tela, cm 100 x 73.
Mantova, Museo Diocesano,
già di proprietà della famiglia Cima di Castel Goffredo.
Gianluigi Arcari e
Umberto Padovani - L’immagine a stampa di San Luigi Gonzaga Vol. I, p. 54.
Archivio Mattioli-Mutti
Come
diffondere il culto del nuovo beato fra il popolo cristiano in modo che non fosse
confuso con altri santi e beati, fu una preoccupazione non trascurabile da
parte di chi aveva il compito di sovrintendere la corretta pratica cristiana e
tra questi in prima fila vi erano i gesuiti. Ma vedremo pure come la famiglia
Gonzaga non rimase assente in questo delicato frangente, perché un’adeguata
impostazione dell’immagine iconografica veniva pure a vantaggio del prestigio
di una delle famiglie più influenti dell’Italia del rinascimento.
Gianluigi
Arcari, con l’ottima pubblicazione “L’immagine a stampa di San Luigi Gonzaga”
in due volumi, a cui io farò costante riferimento in questo lavoro, ha indagato
e documentato in maniera puntuale l’estesa iconografia del santo gesuita. Chi
consulta quest’opera percepisce lo sforzo sia della Compagnia di Gesù che della
famiglia Gonzaga nell’impostare all’inizio un discorso coerente a criteri
ritenuti adeguati alla figura di Luigi.
Da
qui alcuni esempi operativi: dai ritratti di famiglia alle prime immagini
devozionali vi è un nesso diretto circa la fisionomia del personaggio, ciò non
solo per aderenza alla sua figura reale ma pure per ribadirne l’appartenenza al
casato; l’abbigliamento, se improntato a severa semplicità, non è disgiunto da
fine gusto ed eleganza; gli autori stessi delle immagini sono scelti tra abili
e riconosciuti artisti, in modo che il risultato sia di buona fattura; gli
attributi poi si concentrano su alcuni elementi di immediata lettura e se
questi evidenziano la sua rinuncia alle prerogative nobiliari, al contempo sono
chiamati a rivelarne la nobiltà d’animo.
Prima
fra tutti a preoccuparsi dell’immagine del figlio fu la madre di Luigi, Marta
Tana di Santena, che secondo le ricerche fatte da Luigi Bosio, curatore della
notevole mostra iconografica aloisiana del 1968, aveva commissionato tre quadri
per i tre feudi della famiglia in prossimità della beatificazione. Queste tre
opere fanno riferimento ai caratteri somatici del ritratto eseguito a Luigi
adolescente per la collezione asburgica del castello di Ambras (1). L’intuizione del Bosio si basa su
una tradizione locale avvalorata dal fatto che nelle tre località erano
presenti quadri dell’inizio del Seicento, molto simili tra loro, col ritratto
del beato Luigi: Collegio delle Vergini di Gesù (2), Parrocchiale di Medole (3),
Castel Goffredo famiglia Cima, ora al Museo Diocesano di Mantova (4); la prima di buona mano, mentre le
altre due sono di minor pregio. In tutti questi quadri è rappresentato di
fronte a mezzobusto un giovane uomo vestito con ampia cotta bianca su talare
nera, con le mani giunte a sorreggere un lungo stelo fiorito di giglio.
5. Anonimo
(XVII)
Ritratto
a olio su tela di Marta Tana nel Castello di Fontanellato di Parma.
Cartolina 1968 – particolare.
Archivio
Mutti-Mattioli.
Il
viso del giovane imberbe, con capelli scuri e corti, reca i tratti raffinati e
gentili della madre, come lo si può raffrontare con il quadro ad essa riferito
custodito nel castello di Fontanellato di Parma (5). Luigi in questi quadri emerge da un fondo scuro col capo
raggiato (il nimbo del beato), con lo sguardo pacato ma con occhi penetranti verso
l’osservatore, in alto due angeli in volo sostengono un serto di zagare. Se
l’intuizione del Bosio fosse vera, come sembra plausibile che lo sia, ci fa
capire qualcosa in più della madre Marta Tana.
Era
questa una gran dama di quel secolo, capace di destreggiarsi tra teste coronate
e gli impegni ed i doveri di sposa e di madre. Per l’amato figlio Luigi volle
tramandarne la memoria iconografica con quadri di sobria dignità ed acuta
compostezza.
Altri
Gonzaga in via successiva commissionarono dipinti ed incisioni per diffondere
un’iconografia il più aderente possibile alla fisionomia originale del santo di
famiglia. La lettura del minuzioso lavoro dell’Arcari è ricca di rimandi e di
richiami in tal senso. Molti sono i parenti coinvolti in questa gara: il
fratello Francesco con la moglie Bibiana di Pernestein, il nipote Luigi con la
sorella Giovanna (6).
6. Anonimo
(XVI-XVII secolo).
Il Beato Luigi con la Vergine.
Olio su tela,
cm 94 x 88.
Castiglione delle Stiviere, Basilica di San Luigi,
sagrestia.
Cartolina 1891.
Archivio Mattioli-Mutti.
Il
vescovo di Mantova Francesco Gonzaga farà dipingere il vero ritratto di Luigi
sulla volta del transetto del duomo di Mantova (7) e nella medesima chiesa dedicherà un altare al beato, con pala
dipinta da Ippolito Andreasi nel 1605 (8).
In questo quadro Luigi in abito talare, con in mano il giglio, viene coronato
da un angelo in volo con un serto di rose. Il volto ripete fedelmente la
fisionomia già vista nei quadri voluti dalla madre.
7. Bertani
XVII.
Ritratto ad affresco del
Beato Luigi Gonzaga, Cattedrale di Mantova, volta del transetto.
Roberto Brunelli - Un uomo di
nome Luigi, p. 141.
Archivio Mattioli-Mutti.
I
gesuiti, avendo compreso l’importanza della stampa per la diffusione delle
idee, si impegnarono in una vasta campagna di diffusione di libri e di
immagini, a sostegno della loro opera riformatrice. Per il nuovo ordine fu
importante proporre pure alla venerazione dei fedeli i compagni che si erano
distinti nella santità.
8. Ippolito
Andreasi (1548-1608).
Olio su tela, cm 200 x 155.
Mantova, Cattedrale.
Gianluigi Arcari e
Umberto Padovani - L’immagine a stampa di San Luigi Gonzaga Vol. I, p. 24.
Archivio Mattioli-Mutti.
Sono
quattro i primi gesuiti riconosciuti nell’eroicità di vita cristiana: il
fondatore Ignazio di Loyola, il grande missionario Francesco Saverio, i giovani
Stanislao Kostka e Luigi Gonzaga. Questi quattro santi furono spesso associati
tra loro ed innumerevoli sono state le immagini che li ritraevano insieme,
anche nei secoli successivi, quasi fossero le colonne dell’ordine stesso.
Quando l’immagine raffigurava solo Luigi l’iconografia gesuita sin da subito
gli associò alcuni attributi che presto diverranno tipici; tra i più ricorrenti
vi erano: il Crocifisso, il Nome di Gesù, il giglio. In quel periodo poi le
immagini a stampa riscuotevano un successo sempre maggiore, grazie ad attive
botteghe di incisori che avevano dato vita ad una vera e propria produzione in
serie di innumerevoli soggetti.
Le
immagini a sfondo religioso, fra la fine del secolo XVI e l’inizio del XVII,
sono ancora preponderanti ed i gesuiti, consci dell’importanza devozionale di
questi oggetti, si avvalgono dell’opera dei migliori incisori, per favorirne il
gradimento. Questi erano veri artisti, valenti nel disegno, capaci con la loro
maestria e la qualità stilistica delle loro opere di soddisfare un pubblico in
grande espansione, ma pur sempre molto esigente e preparato nell’apprezzare la
finezza della composizione e dell’esecuzione. Tra gli incisori che maggiormente
lavorarono direttamente su commessa della Compagnia di Gesù sono da ricordare i
fratelli Wierix di Anversa.
I
Wierix erano una famiglia di incisori fiamminghi attivi fra Anversa e
Bruxelles, tra la seconda metà del Cinquecento ed il primo quarto del Seicento.
I tre fratelli Wierix, figli di un non meglio identificato Anton I pittore,
sono Johann o Jan Wierix (1549-1618 c.), Jérome o Hieronymus Wierix (1553
-1619) e Anthony o Anton II Wierix (1552 c.-1604); poi il figlio di
quest’ultimo Anton (Antoine) III Wierix (1596-1624). I Wierix sono incisori e
stampatori capaci di una tecnica di qualità, anche se da un punto di vista
artistico non possono competere con il grande Albrecht Dürer, di cui copiano
alcune stampe perché già ricercate dai collezionisti. In circa dieci lustri di
attività sono a loro riferibili oltre 2.300 incisioni catalogate, una
produzione enorme per quell’epoca. Pensando al tempo occorrente per la
realizzazione di ogni singola lastra, per poi passare alla stampa con torchio
manuale, si può immaginare che la famiglia Wierix funzionasse già come
un’attrezzata bottega artigiana, con allievi e numerosi lavoranti. I gesuiti
sono grandi committenti della bottega dei Wierix per tutta una copiosa serie di
stampe devozionali, tra cui le immagini dei primi beati dell’ordine. Per questo
studio interessa in particolar modo Jérome Wierix perché è l’autore di alcune
composizioni riguardanti Luigi Gonzaga agli albori della sua genesi
iconografica.
Mi
piace immaginare come Jérome Wierix percorra quasi un itinerario, che per
tentativi si adegua alla definizione di un’iconografia voluta dai gesuiti e
dalla famiglia, ma prima che questa diventi di maniera. Successivamente, per
secoli, questa impostazione sarà ripresa e confermata e, pure se ancora
integrata con altri attributi, godrà di largo consenso. L’iconografia di San
Luigi è infatti una delle più diffuse in ambito devozionale e quando nel mondo
cattolico si dice giglio, spontaneamente viene da pensare al Gonzaga.
Di
Jérome Wierix, tra l’inizio del 1600 e la data della sua morte nel 1619, analizzerò sei incisioni, ipotizzando una
successione temporale delle stesse, quasi a percorrere l’itinerario di cui ho
accennato, per meglio definirlo e comprenderlo. Inizio con una incisione che a
mio giudizio è la prima stampa dell’autore eseguita quando Luigi non era ancora
dichiarato beato e cioè prima del 1605. Le norme ecclesiastiche sono rigorose
nell’impedire la venerazione pubblica di un defunto prima del riconoscimento da
parte della chiesa della sua santità, mentre ne è tollerata la devozione
privata. All’inizio del Seicento, in pieno rigore post tridentino, un’immagine
devozionale edita prima del riconoscimento ufficiale della chiesa doveva
prudentemente indicare alla devozione il personaggio senza gli espliciti
attributi di santità quali ad esempio il capo raggiato col nimbo dei beati. Se
questo attributo gli era abusivamente dato, l’immagine era opportuno che non
portasse il nome del venerato, quasi questi fosse un beato anonimo, in modo da
non esporre l’autore o lo stampatore a censure ecclesiastiche.
L’immagine
di cui parlo è di Jérome Wierix ed è normalmente riferita a Luigi Gonzaga (9). A mio giudizio il Wierix,
probabilmente su commissione di alcuni gesuiti, con quest’opera, produce un’immagine
devozionale per le esigenze della devozione privata prima della beatificazione
di Luigi. Per comprendere la mia tesi osserviamo nel dettaglio questa
incisione: vi è raffigurato un giovane uomo in ginocchio, mani incrociate sul
petto, chino ad osservare in terra gli strumenti della passione e morte di
Cristo. Il capo raggiato è attributo del beato, ma nell’immagine non è indicato
il nome di colui che è ritratto. Questa assenza del nome è uno degli indizi che
la stampa è stata edita prima della proclamazione ufficiale a beato di Luigi,
che comunque viene ritratto col capo nimbato.
Altri
indizi della sua precocità emergono dall’analisi della figura del giovane. Questa
si discosta dall’iconografia tradizionale in maniera evidente nell’acconciatura
dei capelli, e potrebbe essere un dettaglio insignificante, ma non per Jérome
Wierix, famoso per la sua precisione. Luigi Gonzaga nella iconografia
tradizionale è sempre rappresentato con capelli scuri e corti, qui sono ricci,
mossi, copiosi e con riflessi, quasi chiari. L’acconciatura fluente di
cangianti capelli ricciuti ed i tratti del viso sono il segno che l’autore
descrive un Luigi non ancora pienamente conosciuto. Ma altro indizio importante è l’abbigliamento
del giovane: una semplice camicia da camera sulla nuda pelle, in segno di
penitenza, che lascia intravvedere la scollatura del petto e parte della gamba
sinistra scoperta. Come già detto, a terra sparsi vi sono gli oggetti simbolo
della passione e morte di Cristo: la croce, la colonna della flagellazione col
il flagello, la lancia, la canna con la spugna, i chiodi con il martello, la
corona di spine con la verga, i bastoni e la corda, il bacile con la brocca, i
dadi. Il giovane ha fisso lo sguardo nella contemplazione di questi oggetti.
9. Jérome
Wierix (1553 c.-1619).
Bulino.
B.: “Baptismo habeo
baptisari, et quomodo / coarctor, vsquedum perficiatur? Luc. 12.”; sotto, s.:
“Hieronymus Wierx fecit et excud.”, d.: “Cum Gratia et Priulegio. Piermans.”.
Castiglione delle Stiviere, Archivio Mattioli-Mutti.
Da
notare pure le citazioni della scrittura che compaiono nell’immagine, sicuramente
molto significative, in seguito però non saranno più direttamente a lui
riferite.
Jérome
Wierix si trova a lavorare su un soggetto che per la sua novità non ha ancora
codificato uno stilema proprio e l’artista deve andare di fantasia per intuirne
una collocazione. Queste sono le considerazioni quando osservo questa immagine,
del tutto inusuale, riferita al non ancora beato Luigi Gonzaga. Manca ciò che è
tipico di Luigi: il crocifisso, il giglio o altri attributi tradizionali.
L’incisore ed il suo committente hanno agito prima dell’intervento
dell’iconografia ufficiale, pur mantenendo il profondo messaggio spirituale del
nuovo eroe della fede, incentrato nella penitente contemplazione della passione
di Cristo, in un contesto di assoluto abbandono dei beni e delle pompe terrene,
da qui la sola camicia da camera sulla nuda pelle.
L’immagine
richiama San Francesco d’Assisi, anche lui in ginocchio, in penitente contemplazione
della passione di Gesù, sino a riceverne le stimmate: iconografia quella di
Francesco diffusa e conosciuta allora
già da secoli nella pietà cristiana. Che Jérome Wierix in questa sua primissima
opera su Luigi faccia riferimento a San Francesco d’Assisi non deve
sorprendere, basta pensare a come Ignazio di Loyola fosse da sempre legato alla
spiritualità francescana della povertà.
San
Francesco d’Assisi irrompe in questa mia ricerca ed il francescanesimo sarà
d’ora in poi un riferimento preciso anche per l’iconografia ufficiale
successiva di San Luigi, come avrò modo di descrivere in appresso.
Francesco
d’Assisi fu considerato sin dai suoi contemporanei, e poi ancora da Dante
Alighieri, il santo che più di ogni altro era riuscito ad imitare nella sua
vita la vita di Gesù. Ciò che caratterizza Francesco è la sua totale
spogliazione per abbracciare Madonna Povertà al punto da consegnarsi nudo al
suo vescovo, per poi vivere un’intera esistenza coperto da un semplice logoro
saio. Da un punto di vista teologico ciò corrisponde alla spogliazione di Cristo,
che dalla sua condizione divina accetta di abbassarsi alla condizione umana
nell’incarnazione.
Francesco
ama il natale e del natale sarà il cantore, con la venerazione della grotta di
Betlemme e la rappresentazione del presepio: la manifestazione del Dio Emmanuele,
il Dio con noi. Ma Francesco sa che la massima spogliazione di Gesù è sulla
croce. Gesù accetta la passione e la morte di croce in obbedienza al disegno
del Padre, per la salvezza dell’umanità ferita dal peccato. Francesco è così
appassionato alla passione di Gesù e medita così profondamente questo mistero
di spogliazione da esserne coinvolto nel corpo con le stimmate.
Ignazio
di Loyola, fondatore della Compagnia di Gesù, prima di essere gesuita si può
dire che fu anch’esso francescano. La spogliazione di Gesù, così bene imitata
da Francesco, per Ignazio fu uno dei tratti caratteristici dopo la sua
conversione, con l’abbraccio della povertà, quale affidamento totale alla
volontà di Dio ed alla sua Divina Provvidenza. La spiritualità francescana fu
una trama sempre emergente della vita spirituale di Ignazio e della Compagnia
di Gesù da lui fondata. I primi gesuiti furono credibili e creduti proprio per
la loro capacità personale di penitenza, di essenzialità e di affidamento alla
divina volontà, espressi pure nei particolari voti di obbedienza e di rinuncia
agli onori mondani. La drastica rinuncia fatta da Luigi, non fu perciò
un’esperienza isolata nella Compagnia di Gesù di quel tempo, fu invece una
caratteristica assai comune dell’intero ordine. L’austerità gesuitica era
vissuta e percepita dai contemporanei come un rinnovato rigore francescano.
Jérome
Wierix quando si accinse a mettere in immagine un giovane eroe gesuita, quale
Luigi Gonzaga, di cui aveva sentito narrare l’austerità della vita; della sua
volontà di spogliazione dagli onori, dalle ricchezze, dal potere; del suo
totale affidamento a Dio; del suo incondizionato amore al prossimo; non poté
che associare questo giovane a San Francesco, ispiratore di Sant Ignazio, così
mirabilmente imitato nei vari collegi del nuovo ordine. E come Francesco nella
sua iconografia è vestito di ruvido saio, il Wierix ritrae Luigi vestito di una
semplice camicia da camera; Francesco è di sovente visto inginocchiato
nell’atto di ricevere le stimmate, il Wierix a sua volta dispone Luigi
inginocchiato in meditazione della passione di Gesù. Jérome Wierix sa che il
culto di questo giovane non è ancora stato autorizzato dalla Chiesa, ma sa pure
che privatamente di fatto nei collegi dei gesuiti e tra il popolo cristiano la
sua fama di santità si sta ampiamente diffondendo. Non esiste ancora una
iconografia ufficiale che lo renda immediatamente riconoscibile, occorre
inventarne una nuova. Lui è un artista sensibile ed esperto, in continuo
contatto diretto con i padri della Compagnia di Gesù, perché suoi committenti
per una già non trascurabile produzione di immagini sacre, testimoni credibili
di un francescanesimo vissuto.
Questo
contesto porta Jérome Wierix ad interpretare con una certa libertà e non senza
audacia il ruolo di Luigi quale novello Francesco: le nude carni di un giovane,
baciato dalla umana fortuna per nascita, per mezzi, per doti, spogliate in
ginocchio dinanzi ai simboli della passione di Cristo. Non il giglio serafico e
nemmeno il crudo Crocifisso. Una semplice realistica spogliazione dalle ricche
ed ornate vesti nobiliari, azione che allora per un aristocratico era più che
uno scandalo palese. Da qui un’immagine di Luigi inusitata ed unica,
irrepetibile, al punto da rimanere schiacciata sotto l’enorme quantità
successiva di sue immagini tutte replicanti stereotipi.
Questa
stampa del Wierix è di una modernità sorprendente e chi vuole iniziare una
seria comprensione del personaggio di Luigi Gonzaga non può eluderla. Questa, a
mio avviso, è la prima immagine devozionale di Luigi di Jérome Wierix e
probabilmente pure la prima immagine a stampa del nuovo beato, diffusa
anteriormente alla sua proclamazione, pertanto prima del 1605.
Il giglio allora come sboccia.
Quando ho iniziato ad interessarmi all’iconografia
aloisiana, in maniera più seria che curiosa, avevo preso contatto con
Elisabetta Gulli Grigioni, massima autorità italiana nell’ambito degli studi
delle immagini sacre a stampa, che mi scrisse che se volevo capire il perché
del giglio, avrei dovuto far riferimento all’iconografia di Sant Antonio di
Padova. Qui torna la spiritualità francescana, con la scelta della povertà, lo
slancio missionario disarmato, l’obbedienza al papa.
Nell’ambito
della iconografia francescana fu Donatello, nel grande apparato dell’altare del
Santo a Padova, che definì: Francesco, l’uomo maturo stimmatizzato, con barba e
crocifisso, mentre Antonio, il giovane imberbe, con libro e giglio. Antonio è
tra i santi più venerati e gode di una iconografia imponente, tra le più diffuse
al mondo e dal XV secolo, come detto, normalmente rappresentato giovane
imberbe, vestito col saio francescano e con gli attributi iconografici del
giglio, del libro e pure con in braccio il Bambino Gesù. Una simile
rappresentazione ha avuto un tale successo da far dimenticare la sua precedente
iconografia medievale, che lo voleva uomo maturo con barba.
Per
Luigi gesuita poi vi è una felice congiunzione parentale che lo lega
strettamente ai francescani: il cugino vescovo di Mantova, il venerabile fra
Francesco, era francescano.
A
mio parere il giglio per Luigi sboccia dalla sapiente visione del venerabile
cugino vescovo, che merita di essere conosciuto in maniera più approfondita.
Francesco
Gonzaga, marchese di Ostiano, fu Ministro Generale dell’Ordine dei Frati
Minori, poi vescovo di Cefalù, successivamente vescovo di Mantova. Quando il
padre di Luigi, Ferrante, marchese di Castiglione, si opponeva all’entrata in
religione del figlio primogenito, aveva chiesto al cugino Fra Francesco, uomo
di vita esemplare e pia, di verificare la vocazione del figlio. Dal colloquio
avuto con Luigi, Fra Francesco comprese la profonda spiritualità, la maturità
umana e cristiana del giovane parente e la ferma volontà di dedicarsi
totalmente a Dio nella Compagnia di Gesù. Ho già accennato come proprio il
vescovo Francesco, fece dipingere una pala d’altare per il Duomo di Mantova, in
cui Luigi tiene in mano un giglio.
Quasi
in una sequenza cinematografica il venerabile cugino Francesco - francescano -
prende dal giovane - francescano - Sant’Antonio il giglio e lo dona a Luigi, il
giovane gesuita-francescano.
Luigi
farà una grande concorrenza, se così si può dire, al venerando Sant’Antonio, ma
il giglio li accomuna in una meritoria gara tra i fedeli devoti.
Marta
Tana, la madre di Luigi, accoglie dal cugino vescovo il candido dono per il suo
amato figliuolo e fa dipingere i quadri commemorativi della beatificazione con
il mezzo busto di Luigi, che tiene fra le mani proprio il giglio.
Da
questo momento l’innesto della spiritualità francescana nella spiritualità
aloisiana sarà costante. Il giglio più che altri attributi iconografici sarà il
simbolo di Luigi Gonzaga: a significarne l’innocenza, la purezza. Che Marta
Tana abbia voluto ricordare il figlio come un giglio di purezza e di innocenza
lo si può ben comprendere, pensando alle vicende familiari drammatiche di cui
fu testimone e che coinvolsero lei e i suoi figli. Una lunga faida famigliare,
per il possesso dei feudi di Solferino e Castel Goffredo, contrappose la casa
marchionale di Castiglione alla casa ducale di Mantova, senza esclusione di
colpi: il figlio Rodolfo venne sospettato di aver armato la mano del sicario
che uccise a tradimento lo zio Alfonso di Castel Goffredo; Rodolfo fu poi assassinato
in un attentato sulla piazza di quel feudo; il figlio Diego le fu assassinato
in grembo e lei stessa in quel frangente pugnalata gravemente, per mano di
banditi, in probabile intesa col duca di Mantova; il figlio Francesco, per non
perdere i suoi feudi, fu caparbio in una lotta impari sempre col duca mantovano
e capace di atti di crudeltà. Ad una madre, tanto provata da tali odi e
vendette, il ricordo del figlio religioso, disarmato e mansueto, doveva
procurarle conforto e pace. Per lei, ormai al volgere della vita, morirà il 26
settembre 1605 all’età di 55 anni, accostare il figlio Luigi al candore di un
giglio, era lenimento del ricordo di tutto quel sangue; far memoria della sua
umiltà, compensazione di quei nefasti orgogli; comprendere la sua rinuncia ai
beni del mondo, atto liberatorio dalle insaziate cupidigie; amare la sua
innocenza, fonte dalla quale ricevere la forza per perdonare ogni colpa.
Proseguendo
l’itinerario troviamo un’altra incisione di Jérome Wierix, che a mio avviso fu
edita prima del 1605, raffigurante Ignazio di Loyola e Luigi Gonzaga con il
Redentore (10). In primo piano le
figure a mezzo busto di Ignazio e Luigi osservano sull’altare addossato ad una
grande croce il Calice e l’Ostia consacrati dal sangue copioso che sgorga dalle mani e dal costato del
Redentore, apparso glorioso col capo raggiante e con i segni della passione.
Ignazio e Luigi non hanno il capo raggiato, sono vestiti con l’abito gesuita, i
loro nomi non compaiono - segno a mio giudizio che entrambi non sono ancora
beati -, da qui la prudenza dello stampatore. Jérome Wierix anche in questa stampa
traspone la tradizionale iconografia francescana in gesuitica:
Francesco-Ignazio, adulto con barba, Antonio-Luigi, giovane imberbe. La
fisionomia di Ignazio è già quella che poi sarà tradizionalmente conosciuta.
Interessante è l’evoluzione della fisionomia di Luigi rispetto all’immagine
precedente. Qui non si tratta più di un giovane di bell’aspetto con
capigliatura arricciata, ma di un giovane maturo, con capelli corti. Non è
ancora il volto fine dell’iconografia familiare, ma è sicuramente un avvicinamento
interessante da parte di un autore tanto preciso nei dettagli. Particolari che
a mio giudizio, ripeto, dimostrano un percorso temporale nelle immagini
devozionali precedenti la beatificazione.
Luigi fu proclamato beato dal Papa Paolo V
il 19 ottobre 1605. A beatificazione avvenuta diviene opportuno che pure la
famiglia intervenga per meglio indirizzare un’iconografia in fieri. Per il
nostro autore, Jérome Wierix, è l’occasione per pubblicare altre immagini
devozionali, ora lecitamente intestate al nuovo beato su commissione dei
gesuiti e col patrocinio dell’illustre casata. Osservando le immagini a stampa
di questo primo periodo, si può notare come l’intervento dell’ordine e della
famiglia furono tempestivi e coordinati, pur nelle rispettive autonomie e
sensibilità.
10. Jérome
Wierix (1553 c.-1619).
I beati Ignazio di Loyola e Luigi Gonzaga con il
Redentore.
Bulino.
B.: “Per has rimas licet
mihi sugere mel de petra, / oleumque de saxo durissimo. Bern.”; sotto, s.:
“Hieronymus Wierx fecit et excud..”, d.: “Cum Gratia et Piuilegio. Piermans.”.
Gianluigi Arcari e
Umberto Padovani - L’immagine a stampa di San Luigi Gonzaga Vol. I, p. 18.
Archivio Mattioli-Mutti.
Nell’analizzare
le prossime sei immagini intendo dividerle in due gruppi. Il primo, dove mi
pare di individuare una committenza della famiglia, ed un secondo, dove mi pare prevalga la
committenza dell’ordine.
Parto
da quello che io considero l’intervento della famiglia marchionale di
Castiglione. A Bibiana di Pernestein,
moglie del principe Francesco, fratello di Luigi, fu dedicata da Jérome Wierix
un’incisione del 1607 (11). La
precisione dell’artista ora si evidenzia nella fisionomia del viso di Luigi. Per
questo incarico importante, egli infatti si poté documentare ed il volto del
beato fu pienamente aderente a quella dei quadri di famiglia.
La
figura si presenta in piedi, vestita dell’abito gesuita con talare e
sopravveste, tra le mani giunte tiene un crocifisso intrecciato a tre rami di
gigli fioriti, sul capo il simbolo raggiato del nome di Gesù, accolto da angeli
in volo. In basso l’intitolazione al “B. ALOYSIUS GONZAGA.”, sotto: la dedica
all’illustrissima donna Bibiana di Pernestein, cognata del Beato. La famiglia
evidenziò che il loro Luigi era pur sempre un principe dell’impero, in posa e
degnamente vestito. L’intreccio dei tre rami di giglio fu un’invenzione del
Wierix. Nella prima iconografia aloisiana questo stilema sarà più volte
ripetuto per poi essere abbandonato a favore di un solo stelo, come
inizialmente proposto nel quadro dell’Andreasi o in quelli commissionati da
Marta Tana.
11. Jérome
Wierix (1553 c.-1619).
Bulino.
B.: “B. ALOYSIVS
GONZAGA.”; sotto: “Illust.mae D.nae D. Bibianae de Pernestain, Oratoris /
Caesarei, apud S.m D. Paullum V. coniugi, a,o 1607.”; sotto, s.: ““Cum Gratia
et Piuilegio.”, d.: “Hieronymus Wierx D D. faciebat.”.
Castiglione delle
Stiviere, Archivio Mattioli-Mutti.
Un’altra incisione, che potrebbe essere
contemporanea alla precedente, anche per una certa affinità di composizione,
Jérome Wierix la realizzò con la figura di Luigi a mezzo busto, visto di
profilo, col capo chino (12). Questa
posizione venne mediata da quella disegnata intorno al 1600 da Maria Maddalena
(Caterina) de’ Pazzi (13). In questa
immagine vi è il crocifisso e non il giglio. Luigi è vestito con l’abito da
gesuita, il capo raggiato ed un angelo in volo lo corona con un serto di zagare.
Per la prima volta si esibisce titolo nobiliare e corona feudale, senza false
modestie.
12. Jérome
Wierix (1553 c.-1619).
Bulino.
B.: “IL B: LVIGI GONZAGA
MARCHESE / DI CASTIGL.E DELLA COMP.A DI GIESV.”; sotto, s.: “Hieronymus Wierx
fecit et excud.”, d.: “Cum Gratia et Piuilegio. Buschere.”.
Riedizione fine XIX Secolo.
Castiglione delle Stiviere, Archivio Mattioli-Mutti.
13. Maria
Maddalena (Caterina) de’ Pazzi (1566-1607).
Penna e inchiostro bruno,
acquerello di vari colori su carta ritagliata, mm 135 x 70 c., inserita in
ghirlanda di fiori di fili metallici e fibre tessili.
Su due linguette di carta
applicate al disegno, a penna: “Dipinto da / S: M: Madd: de Pa:”.
Careggi, Monastero di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi.
Gianluigi Arcari e
Umberto Padovani - L’immagine a stampa di San Luigi Gonzaga Vol. I, p. 37.
Archivio Mattioli-Mutti.
La
stampa di Wolfgang Kilian (14), incisore e stampatore tedesco di Augusta, attivo in Mantova nei primi anni del
Seicento, rappresenta il massimo sforzo propagandistico del principe Francesco.
14. Wolfgang
Kilian (1581-1662).
Bulino.
B., s.: “Wolfgang Kilian
Aug.: scalp.”; sotto, in caratteri tipografici: “VERA EFFIGIE DI SAN LUIGI
GONZAGA COMPROTETTORE DI MANTOVA, / E SI VENDE IN MANTOVA DA INNOCENTE PRATI
LIBRAIO A SANTA AGNESE,”.
Mantova, Collezione privata.
Gianluigi Arcari e
Umberto Padovani - L’immagine a stampa di San Luigi Gonzaga Vol. I, p. 65.
Archivio Mattioli-Mutti.
In
quest’opera assai complessa, per una congerie di simboli allegorici e con
riferimenti politici ed ideologici più o meno espliciti, si assiste al trionfo
della famiglia marchionale di Castiglione, nei suoi blasoni e nei suoi eredi.
Luigi è raffigurato quale colosso, che col capo travalica le nubi e si erge in
visione della Vergine incoronata imperatrice del
cielo,
in un’apoteosi apologetica contro gli eretici e a protezione dei nobili
congiunti.
Nei
recenti studi sul duomo di Castiglione, Massimo De Paoli documenta come il
principe Francesco avesse in animo di costruire un in vero colosso, con le
sembianze del fratello beato, sul piazzale antistante la parrocchiale (15).
15. Disegno
dell’apparato celebrativo allestito in Roma per la beatificazione di Luigi
Gonzaga, 1618.
Mantova, Archivio di Stato.
Massimo De Paoli – La Chiesa sul Colle, p.99.
Archivio Mattioli-Mutti.
Vengo
ora ad analizzare il gruppo di immagini che io considero commissionate dalla
Compagnia di Gesù.
A
Roma, quasi a pareggiare lo sforzo profuso dalla famiglia nell’immagine
precedente, in una stampa anch’essa particolarmente elaborata e complessa, la
gloria del nuovo beato viene esposta in ben 44 miracoli. L’incisione è edita
nel 1607, purtroppo per mano non conosciuta, che implica però un autore dotato
di notevoli capacità tecniche ed artistiche.
Sotto
un sontuoso baldacchino sostenuto da quattro colonne, posto su una ricca
predella, viene ritratto un giovane inginocchiato, che indossa ampia cotta, col
capo raggiato, chino a contemplare il crocefisso intrecciato di gigli che tiene
in mano, mentre due angeli in volo lo coronano con un serto di zagare.
In
alto il motto dell’ordine: “AD MAIOREM DEI GLORIAM” ed il monogramma del nome
di Gesù. In basso: “BEATVS ALOYSIUS GONZAGA PRINCEPS ET MARCHIO. E SOCIETATE
IESV” (16) Nei labari, attorno alle
colonne e nel basamento sono rappresentati i 44 miracoli, i medesimi elencati
nella biografia del Cepari, edita nel 1606. Tutto l’impianto dell’opera è
improntato a grande solennità e la miniaturistica precisione delle 44 figurine
descrittive dei miracoli destano un senso di ammirazione
16. Anonimo
(XVI-XVII).
Bulino.
A.: “AD MAIOREM DEI
GLORIAM.”; B.: “BEATVS ALOYSIVS / GONZAGA PRINCEPS ET / MARCHIO. E SOCIETATE
IESV / OBIIT AN. D.NI M.D.XCI. / DIE 21 IVNII. AET. SVE 23.”; sotto i 44
miracoli rappresentati, 8 nei labari, 32 sulle colonne, 4 nel basamento,
didascalie in latino; sotto, c.: “Romae. 1607. cu. licentia superioru. Apud
Imperialem cu. Piuilegio S. P.”.
Milano, Raccolta Bertarelli, Popolari Sacre, M. 22 1.
Gianluigi Arcari e
Umberto Padovani - L’immagine a stampa di San Luigi Gonzaga Vol. I, p. 72.
Archivio Mattioli-Mutti.
Jérome
Wierix non prima del 1619, anno della sua morte e della beatificazione del
Saverio, firmò altre due incisioni di chiara committenza della Compagnia di
Gesù.
La
prima raffigurante Gesù Bambino sul monogramma del suo nome con i beati Luigi Gonzaga,
Ignazio di Loyola, Francesco Saverio e Stanislao Kotska (17).
Sempre da chiara derivazione francescana, Gesù
Bambino sarà poi associato a Stanislao Kotska. Ancora una volta Sant Antonio di
Padova, conosciuto per il giglio ed il Bambino Gesù, avendo ceduto il giglio a
Luigi, ora cede il bambino a Stanislao, i due giovani santi gesuiti.
Nell’iconografia successiva questi due giovani santi saranno frequentemente
riproposti in coppia, pur non essendosi mai conosciuti in vita, essendo
Stanislao morto nello stesso anno di nascita di Luigi.
17. Jérome
Wierix (1553 c.-1619).
Gesù Bambino sul
monogramma del suo nome, con i beati Luigi Gonzaga, Ignazio di Loyola,
Francesco Saverio e Stanislao Kostka.
Bulino.
Nella fascia che chiude
l’ovale contenente il monogramma: “O IESV mi dulcissime Spes suspirantis animae
Te querunt pie lacrimae Te clamor mentis intimae”; B.: ADMODVM REVERENDO IN
CHRISTO PATRI, P. CLAVDIO / AQVAVIVA, PRAEPOSITO GENERALI SOCIETATIS IESV /
HIERONIMVS WIERX DD. FACIEBAT.”;
sotto, s.: “Hieronymus Wierx fecit et excud.”, d.: “Cum Gratia et Priuilegio.
Buschere.”.
Genova, Collezione privata.
Gianluigi Arcari e
Umberto Padovani - L’immagine a stampa di San Luigi Gonzaga Vol. I, p. 61.
Archivio Mattioli-Mutti.
La
seconda stampa raffigura i beati Ignazio di Loyola, Luigi Gonzaga, Stanislao Kostka e Francesco
Saverio con il Crocifisso (18).
Nell’immagine campeggia l’albero della croce, quale ubertosa vite nascente dal
calice consacrato, dal quale diramano quattro possenti tralci.
A
questo punto, parafrasando l’Arcari, si potrebbe sintetizzare che le attitudini
dei quattro tralci-gesuiti della vite-Cristo potrebbero fungere da indice della
rassegna di immagini di Luigi Gonzaga che viene sciorinata nei secoli seguenti.
Nelle incisioni dei Wierix del primo Seicento di Ignazio e i tre suoi compagni
beati compiono tutti i gesti che anche Luigi s’addosserà nei dipinti, nelle
sculture e nelle stampe a venire.
L’iconografia gesuitica raggiunge in tal
modo la sua maturità, d’ora in poi non dipenderà più dagli stilemi francescani,
trionferà nel barocco incipiente, si avventurerà in nuove devozioni quale ad
esempio quella del Sacro Cuore di Gesù. Ma al fondo l’impronta francescana
rimarrà comunque indelebile.
18. Jérome
Wierix (1553 c.-1619).
I beati Ignazio di
Loyola, Luigi Gonzaga, Stanislao Kostka e Francesco Saverio con il Crocifisso.
Bulino.
C.: “Ego sum vitis vera
et vos palmites.”; B.: “Laudemus viros gloriosos, et parentes nostros / in
generatione sua. Ecclesiatici cap. 44.”; sotto, s.: “Hieronymus Wierx fecit et
excud.”, d.: “Cum Gratia et Priuilegio. Buschere.”.
Genova, Collezione privata.
Gianluigi Arcari e
Umberto Padovani - L’immagine a stampa di San Luigi Gonzaga Vol. I, p. 17.
Archivio Mattioli-Mutti.
L’intreccio della volontà della famiglia e
della Compagnia di Gesù fu forte ed
evidente, ciascuno a sottolineare dettagli, ma in sostanziale sintonia. Si
comprende lo sforzo dei gesuiti di puntare molto in alto, dando avvio ad un
culto con dovizia di argomenti, a lato di una famiglia disposta a non lesinare.
Furono ingaggiati i migliori incisori del tempo, che fornirono opere di grande
qualità; nel contempo si indirizzò l’iconografia del nuovo beato verso uno
stile sobrio ed elegante, salvaguardandone la dignità ed esaltando l’onore
della famiglia e dell’ordine.
19. Antoine
Wierix (1552 c.-1624 c.).
Bulino.
B.: “B. ALOYSIUS.”;
sotto, s.: “Cur spinata tantum placent / Quae calcata ibig iacent / Aloisi
lilia?”, d.: “Ominis spinae fons decoris / Casti spinae fons amoris / Solae
spinae gloria.”; sotto, s.: “Anton. Wierx fecit et excud.”, d.: “Cum Gratia et
Priuilegio.”.
Castiglione delle Stiviere, Archivio Mattioli-Mutti.
Avanzando nel Seicento, con Anton
(Antoine) III Wierix, nipote e contemporaneo di Jérome Wierix, pur mantenendo
alta la qualità stilistica, già si entra nella maniera. Le due stampe con il “B. ALOYSIVS” inginocchiato davanti ad
altare, con crocifisso intrecciato di gigli, è ormai repertorio (19 e 20) .
20. Antoine
Wierix (1552 c.-1624 c.).
Bulino, stampa smarginata.
B., s.: “Vnde flores
casti odoris, / Christus, cum beatis choris / Cingunt Aloysium?”, d.: “Quamuis
terris habitabat, / Mente tamen euolabat / Campum ad Elysium.”; sotto, parte
superiore di scritta rifilata e perciò illeggibile.
Milano, Raccolta Bertarelli, Popolari Sacre, PP. 13
24.
Gianluigi Arcari e
Umberto Padovani - L’immagine a stampa di San Luigi Gonzaga Vol. I, p. 62.
Archivio Mattioli-Mutti.
Interessante
ancora come i Wierix fecero scuola a Karel van Mallery (1571 + 1645), loro
contemporaneo, appartenente ad un’altra famosa bottega di incisori e stampatori
di Anversa, quella dei Galle.
Karel
(Carolus) van Mallery firmò un’incisione di buona fattura, che riprese quella
di Jérome Wierix, col “B. ALOYSIVS GONZAGA E SOC. IESV.” (21) , in piedi, con in mano il crocifisso intrecciato di gigli,
nel cielo sul capo il nome raggiato di Gesù. Luigi in questo caso indossa
sull’abito gesuita una ricca ed abbondante cotta, richiamo dell’iconografia
voluta dalla madre Marta Tana.
21. Karel
van Mallery (1571-1645).
Bulino.
B.: “B. ALOYSIUS GONZAGA,
E SOC.TE IESV.”; sotto: “Dilectus meus mhi et ego illi qui pascitur inter
lilia.”.
Castiglione delle Stiviere, Archivio Mattioli-Mutti.
Cornelis
Galle il Vecchio (1576 + 1650), cognato di Karel van Mallery, firmerà
successivamente altre stampe (22 e 23),
non più dello stesso pregio delle precedenti, pur essendo un incisore di
valore. Questo fu il segno che la committenza non era più così attenta, mentre
le esigenze del mercato volgevano verso la quantità a scapito del valore. Di
ciò soffrirà molto l’iconografia aloisiana e la figura stessa di Luigi ne
uscirà negativamente segnata. Cornelis Galle abbandonò il crocifisso
intrecciato con i gigli e privilegiò il singolo stelo di giglio fogliato e
fiorito, come proposto dalla prima iconografia famigliare, l’altro elemento che
divenne costante fu la cotta. Da allora in poi il giglio, la cotta, il
crocifisso furono gli attributi tra i più usati dagli artisti nel proporre la
figura di Luigi Gonzaga.
22. Cornelis
Galle (1576-1650).
Bulino.
B., c.: “B. ALOYSIUS GONZAGA”; d.: “C. Galle.”.
Castiglione delle Stiviere, Archivio Mattioli-Mutti.
23. Cornelis
Galle (1576-1650).
I beati Luigi Gonzaga e Stanislao Kostka con l’ostia
consacrata.
Bulino su pergamena.
B., d.: “C. Galle”.
Castiglione delle Stiviere, Archivio Mattioli-Mutti.
L’avvio
dell’iconografia aloisiana fu opera meritoria per l’impegno e per la qualità
dei risultati. L’intervento degli influenti parenti fu sicuramente
apprezzabile, sia per l’aderenza alla fisionomia originale del santo, che per
l’eleganza delle immagini; l’opera dei gesuiti a sua volta fu lodevole nella
carica spirituale e nella sobrietà dei soggetti.
Il
risultato fu tale da incidere in maniera duratura sulla futura iconografia
aloisiana, sicuramente in maniera positiva, ma alcuni tratti divennero
stereotipi, con storpiature e derive vittimistiche, che non sempre andarono a
beneficio della comprensione della figura di Luigi. La grande diffusione della
devozione a San Luigi poi produsse nei secoli una massa incalcolabile di
materiali di culto e spesso la mole fu a scapito del pregio. Se l’impronta
iniziale fu determinante per l’evoluzione successiva, purtroppo una certa
maniera prese il soppravvento, condizionando non poco la percezione della
personalità del santo. E’ vero che
sarebbe un errore giudicare con i parametri della religiosità odierna forme di
pietà del passato, così facendo buona parte dell’iconografia aliosiana non sarebbe
esente da critica, ma osservando la genesi di tale iconografia è giusto dire
che fu fortemente calibrata ed impostata su di una profonda spiritualità.
Gli
eccessi e le ridondanze apologetiche tipiche di quel tempo furono assai
contenute, mentre certe derive pietistiche furono opera dei secoli successivi.
Le
spiritualità di Ignazio di Loyola e di Francesco d’Assisi videro, nell’opera di
Jérome Wierix, una sintesi artistica notevole nella genesi dell’iconografia di
Luigi Gonzaga. Riscoprire oggi questa iconografia, per meglio affidarci al
patrono dei giovani, può ancora dire molto alla chiesa di Papa Francesco,
gesuita-francescano.
Da
castiglionese mi piace tornare nel Collegio delle Vergini, ambientazione da
sogno, in cui i secoli sembrano scorrere senza rumore. Nella cappella del
Collegio, di fronte al quadro di Luigi gelosamente custodito, osservo e mi
lascio osservare da lui: sguardo intenso, difficile da sostenere. Mi rendo
conto che sono davanti alla figura di un giovane uomo capace di scelte
coraggiose, senza enfasi ma con paziente determinazione: la posa pacata ma
vigile; la sobrietà e l’eleganza dell’abito; l’umiltà e la dignità del
contegno.
Luigi
è l’esempio in positivo del giovane ricco del vangelo, che anziché ritirarsi
triste, prende l’iniziativa di lasciare tutto per conseguire la perla preziosa:
vivere la follia della croce, fino a morire di contagio nel soccorso agli
appestati: scelta radicale di vita che ancora contagia. Una rinnovata
iconografia non può che favorirne il contatto. Tornare all’origine di
un’iconografia implica attingere alle fonti, per procedere ad un suo
rinnovamento, per un’attualizzazione capace di azione: un’iconografia compresa
sprigiona ancora il suo fascino.
Nella
nostra epoca, pur così diversa da quella di Luigi, le prevaricazioni sociali da
lui contestate sono purtroppo ancora le stesse che fanno sanguinare la nostra
carne e il nostro cuore.
Nel
quadro voluto dalla madre il messaggio allora fu esplicito e perciò facilmente
compreso dai contemporanei:
quel
giovane, nato nel privilegio di casta, dove la legge erano la violenza ed il
sopruso, per gli occhi mondani del suo tempo era assurdamente abbigliato:
in
vece di mostrarsi in lucente armatura, emergeva da una candida cotta;
sul
capo, in luogo dell’elmo coronato, gli era imposto un serto di zagare;
tra
le mani, per spada sguainata, reggeva uno stelo fogliato di giglio, quasi palma
fiorita di segreto martirio.